24 Ago 2013

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Dina Goldstein: Fallen Princess, In The Dollhouse

Dina Goldstein, fotografa concettuale, è conosciuta e apprezzata a livello internazionale grazie a due suoi progetti, caratterizzati da ironia e dissacrazione delle più famose icone stereotipate per bambini: Barbie e le Principesse delle favole.

Con “Fallen Princess“, progetto realizzato nel 2007, ha rappresentato in chiave ironica le protagoniste delle fiabe, mostrando cosa probabilmente accadrebbe loro nella vita reale, senza la patina fiabesca e romantica che le ha sempre caratterizzate.
Ed è così che scopriamo Biancaneve, moglie trascurata da un marito nullafacente e madre a tempo pieno, oppure la Sirenetta esposta in un acquario, Pocahontas rinchiusa in casa con i suoi innumerevoli gatti, ma anche Jasmine e Raperonzolo, obbligate a lottare per la loro stessa vita, la prima in guerra, la seconda contro un grave problema di salute.

Col secondo progetto realizzato nel 2012 “In The Dollhouse“, l’attenzione è incentrata sulla coppia più famosa e ammirata dalle bambine (ma non solo): Barbie e Ken.
In questi scatti viene mostrata la loro vita apparentemente perfetta, che cela in realtà solitudine, insoddisfazione e tristezza, per via dei ruoli/canoni imposti comunemente ad entrambi i personaggi: moglie e donna perfetta, marito e uomo perfetto. Situazione che allo scatto finale porterà ad un tragico epilogo.

Intervista alla fotografa:

Cosa ha ispirato questo lavoro?
Sono state le mie figlie a ispirare entrambi i lavori. Ho cominciato a pensare a Fallen Princess quando mia figlia Jordan aveva 3 anni e contemporaneamente a mia madre era stato diagnosticato un tumore al seno. Jordan era nella fase “principessa” e noi leggevamo, guardavamo ed eravamo sopraffatte dalle principesse di Walt Disney. Ho cominciato a immaginare ciascuna di loro come un’adulta con i suoi problemiCome sarebbe stato se fossero state donne reali che vivono le sfide del mondo e si confrontano con i temi contemporanei?
In the Dollhouse è la continuazione del mio studio dei giochi di massa e delle icone femminili. Mia figlia Zoe è saltata direttamente alle Barbie seguendo sua sorella più grande, che con le bambole mette in scena personaggi e storie. Nonostante il mio lavoro esamini come le menti più giovani, soprattutto femminili, siano influenzate da queste figure culturali, in realtà il mio è un progetto creato per gli adulti e non per i bambini. Credi nella coppia perfetta?
Assolutamente no! E lo dico perché la perfezione non esiste! La perfezione è un’illusione. Sto con mio marito da vent’anni e parlo quindi per esperienza diretta. Un buon matrimonio richiede lavoro. Si tratta di due individui che vivono insieme e respirano sempre la stessa aria. Si parla di compromesso e compassione. E tolleranza… Molta tolleranza. Jonas, mio marito, ha una lista di cose su cui vuole che io lavori. E io ho la mia lista per lui! Ora come ora abbiamo dei bimbi piccoli e quindi la nostra priorità è la sopravvivenza! Consigli per essere una donna autentica?
Oggi il mio consiglio per le giovani donne è di concentrarsi su ciò che ami e provare a farne il tuo lavoro. Focalizzati sulle tue qualità migliori e sii realista sui tuoi talenti. L’etica del lavoro è importante. Sii disposta a sperimentare ogni specie di lavoro, più o meno importante che sia. E sii paziente, perché ci vorrà un po’ prima che tu ne possa trarre beneficio. Credo che con la formazione e la determinazione ciascuno di noi possa diventare ciò che desidera.

Intervista rilasciata a Cosmopolitan.it.

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Intervista a Piera Stretti: storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto

Alla Casa delle donne di via San Faustino Piera Stretti, presidente della Onlus, racconta le storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto. 
L’associazione bresciana nata nel 1989 accoglie giovani donne perseguitate da ex mariti o compagni «Lo stalking esisteva prima che ci fosse la legge» La «Casa delle Donne» si trova in via San Faustino, al civico 38. Un grande e un po’ decadente appartamento con i soffitti affrescati ospita gli uffici dell’associazione creata nel 1989 e trasferitasi in questo immobile poco dopo la sua nascita. Il proprietario dei muri è il Comune di Brescia, cui la Onlus paga un affitto a canone agevolato, rinnovabile ogni quattro anni. Un videocitofono consente di scrutare il visitatore e stabilire se è il benvenuto. Una misura banale ma tranquillizzante, dettata da ragioni minime di sicurezza, nonché un piccolo baluardo a difesa della riservatezza di chi varca la soglia di queste stanze, tutte donne che subiscono maltrattamenti e molestie, alla ricerca, spesso disperata, di aiuto e conforto. Tra loro una consistente percentuale, 33 su 355 nel 2012, già 30 su 240 nei primi sette mesi di quest’anno, è rappresentata dalle vittime di stalking. A Piera Stretti, presidente della Onlus, non è sfuggita la storia drammatica che «Laura» ha affidato alle colonne di Bresciaoggi e neppure gli interventi che ne sono scaturiti nei giorni seguenti. Il suo contributo al dibattito porta elementi di riflessione che derivano da una lunga esperienza e dalla frequentazione quotidiana con questo genere di problematiche. «LO STALKING esisteva già prima del 2009, anno di promulgazione della legge 38 che ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis», premette Piera Stretti. Esisteva un vuoto legislativo e se n’è preso atto. La norma, da quattro anni, codifica i comportamenti persecutori che configurano il reato e stabilisce le pene per chi lo commette. IL DISEGNO DI LEGGE che è stato approvato giovedì dal Consiglio dei ministri (e immediatamente attuativo), contempla misure volte a dare un inequivocabile segnale di lotta al fenomeno del femminicidio e di contrasto generale alla violenza di genere. Si può affermare che si tratta di un passaggio importante? «Pur comprendendo l’intento del legislatore, mi lascia perplessa l’articolo che prevede l’irrevocabilità della querela perché temo che, alla prova dei fatti, l’impossibilità di ritirarla possa costituire un deterrente, un impedimento ad assumere una decisione fortemente traumatica sapendo che è definitiva, scevra da ripensamenti». Il giudizio sull’estensione delle ipotesi che prevedono l’arresto in flagranza di reato è positivo: «Ben venga, così come l’ampliamento del raggio d’azione delle situazioni aggravanti». Viene anche stabilito che i reati di stalking siano inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito, «una decisione la cui importanza sarebbe sbagliato sottovalutare». «LA VIOLENZA contro la donna, nelle varie forme in cui può esprimersi, è millenaria», per debellarla è giocoforza attrezzarsi con strumenti repressivi e al Governo va dato atto di non avere tergiversato, fermo restando che l’arma più efficace si chiama prevenzione. «Bisogna lavorare avendo come obiettivo un cambiamento culturale, la rimozione di un retaggio antropologico che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che non smette di condizionare, in negativo e trasversalmente, anche società evolute e moderne». Sono le nuove generazioni il terreno su cui occorre seminare, «gli sforzi devono trovare nella scuola il loro alveo naturale», va scardinata la resistenza ancestrale che porta a «non accettare che il sesso femminile goda di piena autonomia e libertà». Nel frattempo, prima che le scorie formatesi attraverso i secoli siano eliminate, la lotta è combattuta sul campo, il fenomeno è da affrontare e circoscrivere adesso, le invocazioni d’aiuto devono trovare risposte immediate. «La Casa delle Donne non è strumento di pronto intervento», dice Piera Stretti sgomberando il campo da possibili equivoci, «se constatiamo che esiste un pericolo reale, tangibile e immediato per l’incolumità del soggetto, non possiamo fare molto se non fornire il consiglio di rivolgersi alle forze dell’ordine». IL LAVORO SVOLTO dalle volontarie mira all’uscita programmata dalla situazione in cui versa la vittima. La prima fase consiste nell’ascolto telefonico, seguita dall’accoglienza, cioè da colloqui in cui sono valutati i diversi interventi possibili e i percorsi da intraprendere. Legali e psicologhe, consulenti dell’associazione, offrono sostegno e competenza, requisito indispensabile per affrontare, con possibilità di successo, situazioni spesso delicatissime. «La prima richiesta che riceviamo, la più pressante, è quella di essere credute», un’esigenza che racconta la difficoltà che l’oggetto delle minacce reiterate incontra nell’essere considerato attendibile dagli interlocutori cui affida le sue dolorose confidenze. Le donne che giungono in via San Faustino «vorrebbero soluzioni immediate e radicali», un’aspettativa quasi sempre disattesa, il corso della giustizia ha scadenze che non possono essere scavalcate, se non in casi particolari. Come giustificare quelle che all’opinione pubblica sembrano lungaggini inspiegabili, incapacità di cogliere la gravità di una situazione, sordità verso campanelli d’allarme che suonano forte e più di una volta? La risposta arriva, pacata come altrimenti non potrebbe essere, perché data da una professionista navigata che ha dedicato un’intera vita alla battaglia contro la violenza di genere. «I casi sono tantissimi e tutti diversi tra di loro – è la premessa del ragionamento – molte delle donne riferiscono di minacce di morte, non è semplice stabilire se e come hanno possibilità di concretizzarsi». POLIZIA E CARABINIERI dovrebbero avere a disposizione mezzi più efficaci, capaci di ridurre la possibilità di un errore irrimediabile. «Uno di questi è già stato testato brillantemente», è un metodo predittivo e si chiama Sara, acronimo in lingua inglese che tradotto significa freddamente «valutazione del rischio nella violenza da partner», uno strumento particolarmente indicato per le decisioni giudiziarie e probatorie. «Vengono ponderati i comportamenti violenti e si stabilisce la probabilità che si ripresentino nuovamente, decidendo in che modo prevenirli sulla base della gravità emersa». I recenti fatti di cronaca, pur nelle loro straordinaria drammaticità, non devono far dimenticare un dato appurato, ovvero che «lo stalker raramente si trasforma in un femminicida», affermazione solo apparentemente in contraddizione con la successiva: «La maggioranza delle vittime assassinate aveva denunciato di aver ricevuto minacce». E’ raro dunque che il persecutore diventi carnefice, ma quasi sempre la donna è uccisa proprio da chi aveva indicato essere il suo aguzzino. La curiosità porta a chiedere se davvero si manifestano situazioni in cui i ruoli maschio-femmina sono ribaltati. «E’ così nel 15 per cento dei casi – spiega la presidente della Casa delle Donne – ma si tratta sempre di molestie attraverso telefono o posta elettronica, qualche volta si traducono in danneggiamenti all’automobile del malcapitato o ad altri beni di sua proprietà, mai tuttavia si è arrivati a mettere in discussione l’incolumità fisica». Si sono verificate, molto sporadicamente, anche situazioni configurabili come stalking reciproco, un crescendo continuo di dispetti e di torti in cui le parti ricoprono contemporaneamente i due ruoli scritti in copione. TRA LE TANTISSIME idee, tradotte in iniziative, Stretti mostra l’Agenda Viola, parte del progetto «Ascoltare la paura, salvare la vita». E’ stata pensata appositamente per essere usata nei casi di stalking, per segnare quotidianamente fatti significativi e il proprio stato d’animo: in questo modo la vittima potrà valutare e monitorare meglio la situazione, e le sarà più facile esporre la sua storia alle forze dell’ordine o alle operatrici dei centri antiviolenza. Ma c’è un consiglio da dare quando nascono i primi sospetti, quando un gesto, un atto o una parola lasciano intravedere la possibilità di un escalation pericolosa, come ci si deve comportare per disinnescare la «strategia del ragno»? Un «no» pronunciato forte e chiaro, deciso e senza tentennamenti è la mossa migliore. Può sembrare ovvio e scontato, ma «troppo spesso non accade, nel timore di avere male interpretato, per una forma di timidezza o per mancanza di coraggio», rivela Stretti. Farlo subito può essere l’antidoto più efficace, la barriera per il molestatore. L’INCONTRO con Piera è giunto al termine, per tutta la sua durata, un’ora circa, non si è mai interrotto l’andirivieni delle persone che prestano la loro opera, il telefono ha squillato più volte, in una sala attigua, ma nascosta agli occhi del visitatore, era in corso un colloquio, presumibilmente difficile. Per tante, troppe donne, non è tempo di vacanza, neppure in agosto.[divider_padding]

Articolo di Mauro Zappa, pubblicato su BresciaOggi.it 

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08 Ago 2013

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Decreto Legge del 08/08/2013

Decreto “sicurezza”:

Il provvedimento, che si compone di 13 articoli suddivisi in quattro Capi, reca misure che si muovono lungo le seguenti direttrici:

1)Prevenzione e contrasto della violenza di genere

Sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza contro le donne e in ambito domestico di Istanbul, recentemente ratificata dal Parlamento, il decreto mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking).

Vengono quindi inasprite le pene quando:

  • il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto;
  • il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza;
  • il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner.

Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking:

 

  • viene ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti che vengono estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici;
  • viene prevista – analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale – l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, che viene, inoltre, incluso tra quelli ad arresto obbligatorio.

 

Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia:

  • viene assicurata una costante informazione alle parti offese in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali;
  • viene estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità;
  • viene esteso ai delitti di maltrattamenti contro famigliari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza;
  • si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il Pubblico Ministero – su informazione della polizia giudiziaria – può richiedere al Giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.

 

Infine, è stabilito che i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito. Ciò al fine di dare, su questo punto, compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul, recentemente ratificata, che impegna gli Stati firmatari a garantire alle vittime della violenza domestica il diritto all’assistenza legale gratuita.
Sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari come già previsto dall’articolo 18 del TU per le vittime di tratta); Infine, a completare il pacchetto, si è provveduto a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori;

2) Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica 3) Norme in tema di Protezione Civile 4) Norme in tema di gestioni commissariali delle Province [divider_padding]Provvedimento completo: http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=72539 ]]>

02 Ago 2013

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Stalking, «scandalo no a custodia cautelare»

«E’ scandaloso pensare che quelle donne vittime di stalkers saranno letteralmente in balia dei loro persecutori e questo vale anche per quel 5% di donne che perseguitano i loro ex», ha sottolineato in una nota la Consigliera di parità bresciana. «Ma perché iniziare proprio dalla depenalizzazione del reato di stalking per avviare una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri in Italia? Sicuramente tale problema va affrontato con urgenza, ma in questo periodo nel quale la società è testimone di quanto sia grande il problema che riguarda la violenza di genere, solo perché si è donne ex mogli, ex compagne, aggravato da una violenza trasversale anche sui minori, non si può, anzi non si deve neppur minimamente pensare a depenalizzare il reato di stalking, anzi dovrebbero essere inasprire le pene e le forme di rieducazione di questi uomini presi dal senso del possesso delle proprie compagne». «Proprio a Brescia- viene sottolineato- questo reato ha dati i risultati più tragici in assoluto, infatti la nostra Provincia detiene il record negativo per l’area Lombardia est rispetto a tali reati (come da indagine dell’Osservatorio sulla Violenza Domestica). I casi più eclatanti e drammatici si sono verificati nel quartiere di San Polo, Via Cremona e ultimo recentissimo la tragedia di Ono San Pietro, solo questi casi hanno visto dieci vittime decedute di cui 4 minorenni uccisi dalla furia omicida dei padri e 3 minorenni sopravvissuti ma comunque testimoni della tragedia. Va ricordato quanto queste donne abbiano prontamente denunciato i loro compagni sia nel caso di Ono San Pietro che di San Polo eppure sono cadute sotto i colpi dei loro ex-compagni». «A Brescia – ha concluso Anna Maria Gandolfi- 293 sono stati i casi denunciati nel 2012, ma sappiamo essere solo la punta dell’ iceberg. Le donne che non denunciano sono ancora troppe e sicuramente di più di quelle che denunciano, senza contare che in questi numeri non rientrano le violenze subite dalle donne sui luoghi di lavoro sotto altre forme come il mobbing, le discriminazioni di trattamento o peggio le violenze psicologiche».

Articolo apparto su QuiBrescia.it

01 Ago 2013

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Non basta dire mai più: aiutiamo i centri antiviolenza

Lettera scritta da D.i.Re a firma di Titti Carrano e pubblicata sull’Unità:

Lettera Titti Carraro su Unità, articolo in pdf.

25 Lug 2013

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Ancora su Ono San Pietro

Ora che la sia pur tenue speranza che non fosse stato lui a sopprimere i suoi “piccoli eroi” sta per svanire, ora che non possiamo più difenderci dall’angoscia con l’incredulità, ora che i riflettori sul caso di cronaca saranno presto pietosamente spenti, ritorniamo a chiederci come possa accadere (ma è già accaduto e accadrà ancora) che un padre concepisca un insensato e lucido progetto di morte per infliggere – attraverso l’uccisione dei suoi propri figli – il più terribile dei mali alla loro madre.

Nonostante le testimonianze ci abbiano consegnato in buona fede l’immagine di un padre che sapeva essere amoroso, non possiamo immaginarlo tale, poiché un padre  che ama i suoi figli  ne rispetta la madre, non se ne fa persecutore; e se il suo tremendo atto finale è l’esito di un accumulo di rabbia, frustrazione, disperazione ma anche di delirante pianificazione, la domanda è: si poteva evitare?
Forse sì, tuttavia – fino  a quando il fragile senso di sé dei padri si aggrapperà alla convinzione di avere  titolo di proprietà sui figli,  finché  perdureranno i miti fondanti per cui  all’origine di tutti i mali degli uomini ci sono le donne,  finché queste ultime saranno di volta in volta santificate o denigrate e mai considerate titolari dei diritti di libertà e capacità decisionale – ci saranno  padri che uccidono i propri figli,  mariti o ex mariti  che uccidono la moglie o l’ex compagna,  uomini che uccidono le  donne…
Le carceri potranno riempirsi di stalker, ma le case continueranno ad essere prigioni e non ci saranno ordini di protezione o pene detentive capaci di salvaguardare le relazioni familiari ed affettive  dalla violenza  che troppo spesso vi si annida. Quasi sempre – e a maggior ragione quando gli esiti di questa violenza sono letali –  si tratta di violenza maschile, frutto e manifestazione dei rapporti di potere storicamente sbilanciati a favore degli uomini.
Che fare allora?  Si invocano  pene detentive severe ed  immediate per i responsabili  di maltrattamenti, abusi e stalking e certo i tempi lunghi della nostra macchina giudiziaria e la carenza di strutture non  tutelano in modo adeguato le vittime, tuttavia il cambiamento non può basarsi unicamente sulla repressione, deve invece fare della prevenzione il suo punto di forza.
Il Consiglio d’Europa sollecita i governi a ideare  programmi che – senza essere alternativi ad eventuali sentenze di condanna – siano volti ad incoraggiare negli autori della violenza l’adozione di un comportamento non violento, aiutandoli a diventare consapevoli delle proprie azioni ed ad assumersene la responsabilità in modo da  prevenire una futura violenza. A questo proposito, in Italia come altrove, ai centri  che si impegnano per la tutela e la protezione delle donne si stanno affiancando centri di ascolto e sostegno per uomini violenti.
Questo non basta però!
La prevenzione della violenza fra i sessi e nelle relazioni affettive ci impone di individuare per i nostri bambini e le nostre bambine percorsi educativi  inediti,  da avviare precocemente: solo così, in  un futuro  che vorremmo non troppo lontano, un genitore amato non potrà trasformarsi nel carnefice dei propri figli, e gli uomini e le donne – anche se smetteranno di amarsi- non smetteranno per questo di rispettarsi.
Forse solo così le bare bianche dei due fratellini – portatrici di un dolore che l’inerme epiteto: “bastardo “ urlato dalla loro mamma contro l’ex marito e verso il nulla non può certo esprimere –  non avranno  raccontato unicamente l’epilogo di una tragedia annunciata e forse evitabile, ma a prezzo di uno strazio grande ci avranno orientato verso un cambiamento epocale.
Piera Stretti
Casa Delle Donne CaD-Brescia
23 Lug 2013

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Cena Solidale

Cena Solidale per l’Associazione Casa Delle Donne, organizzata Al VIVICITTA’ CIRCOLO UISP Via B. Maggi, 9 (angolo via diaz), Brescia, alle ore 19:30.

30 Giu 2013

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Margherita Hack

Addio a Margherita Hack, una di noi.

Biografia:

Margherita nacque a Firenze proprio alla vigilia del ventennio fascista, in una casa poco lontana da Campo di Marte, allora un enorme prato utilizzato anche come aeroporto per piccoli aerei con ali di tela pilotati dal mitico Magrini. Figlia unica, era una bambina solitaria, con pochi amici. Suo padre fu il suo primo, e spesso unico, compagno di giochi. Era stato infatti licenziato quando Margherita aveva quattro o cinque anni perché non iscritto al partito fascista, e da allora non ebbe mai più un lavoro fisso. Era la madre a mantenere la famiglia: diplomatasi all’Accademia di Belle Arti, dipingeva miniature dei quadri degli Uffizi che vendeva ai turisti. Dopo la scuola elementare, che compì quasi del tutto da privatista, Margherita si iscrisse al ginnasio Galileo Galilei, il più antico di Firenze. A scuola andava bene e trascorreva tutto il tempo libero all’aperto, per esempio al giardino pubblico del Bobolino. Fu qui che un giorno del 1933 incontrò Aldo De Rosa, allora tredicenne, che diventerà il suo compagno di vita. Si sposeranno nel 1944.
Lo sport entrò nella vita di Margherita un po’ per caso, quando le chiesero di partecipare ai Giochi della Gioventù.Sebbene questa prima prestazione, improvvisata, fosse un vero disastro, iniziò ad allenarsi e ottenne ottimi risultati nel salto in lungo e nel salto in alto. Anche la bicicletta l’appassionava. Gliel’avevano regalata i suoi genitori per l’ammissione alla prima liceo e da allora divenne il suo mezzo di trasporto preferito. Antifascista convinta durante il liceo, vide i suoi compagni e professori ebrei cacciati da scuola da un giorno all’altro, in conseguenza delle infami leggi razziali, e quando l’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 strappò la bandierina italiana che aveva attaccato alla bicicletta.
Oggi è conosciuta come una delle maggiori scienziate italiane, ma alla scienza ci arrivò abbastanza per caso.
Già la scelta della facoltà universitaria non fu dettata da una passione per la scienza. Su suggerimento dei suoi genitori si iscrisse prima a Lettere perché era brava nei temi e le piaceva scrivere le cronache delle partite di calcio della Fiorentina dopo averle lette sulla «Nazione». Che la facoltà di Lettere non fosse la scelta giusta ci mise poco a capirlo: alla prima lezione si annoiò talmente che decise di passare a Fisica dove c’era una sua amica di liceo. Man mano che proseguiva nei corsi, però, Margherita si dimostrava migliore della maggior parte dei suoi compagni e lo studio la divertiva: aveva fatto la scelta giusta. Il primo incontro con l’astronomia e l’astrofisica furono le lezioni del prof. Giorgio Abetti, esperto di Sole, e del suo assistente Mario Fracastoro. In ogni caso non fu un colpo di fulmine e inizialmente Margherita non pensava che alle stelle e all’universo avrebbe dedicato più di cinquant’anni di vita. Fu di nuovo un po’ per caso che cominciò a occuparsene più seriamente quando si trattò di scegliere un argomento per la tesi. Non volendo una tesi compilativa, che l’avrebbe obbligata a un lavoro per biblioteche, l’unica possibilità era proprio l’astronomia sotto la direzione di Fracastoro, allora un giovane assistente entusiasta e pieno di energia. Così, senza nemmeno che se ne rendesse conto, le si aprirono le porte della sua professione futura. Il periodo di tesi coincise con gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. La sera del 7 agosto 1944 i tedeschi si ritirarono da Firenze. Distrussero tutti i ponti sull’Arno a eccezione del Ponte Vecchio. La mattina dopo centinaia di persone scesero in strada ad acclamare gli Alleati che entrarono nella parte sud della città. Lunghe colonne di camion sfilarono nelle strade distrutte. Ci vollero altre due settimane perché riuscissero a passare sull’Arno e a liberare anche il centro e la periferia nord. Il lavoro di tesi rimase indietro, un po’ perché il telescopio necessario per le osservazioni non era in funzione e un po’ perché le necessità quotidiane (procurarsi l’acqua, la legna per il fuoco ecc.) portavano via tempo ed energie. Nel gennaio 1945 l’Università riaprì e Margherita poté finalmente laurearsi.
Nel frattempo Margherita e Aldo si erano anche sposati. Dopo il periodo dei giochi si erano persi di vista per una decina d’anni. Quando si ritrovarono però nacque un sodalizio di affetto e di interessi intellettuali e culturali che li portò in modo naturale al matrimonio, che avvenne il 19 febbraio 1944 nella bellissima chiesetta bizantina di via San Leonardo. Il matrimonio religioso fu una scelta di Aldo alla quale Margherita, convinta atea, dovette adeguarsi. Una cerimonia breve, senza messa, né comunione, né vestito bianco, niente viaggio di nozze e un pranzo da soli con cibo razionato, essendo in tempo di guerra. Andarono a vivere nella casa dei genitori di Margherita, in via Ximenes, grande abbastanza e con il giardino e il pozzo con l’acqua. Di case Margherita e Aldo ne hanno cambiate molte in Italia e all’estero, ma un tratto le accomuna: sono sempre state semplici, senza fronzoli inutili, spaziose quanto basta per far posto ai libri e agli animali, cani e gatti a cui hanno sempre dato ospitalità.
Ma anche la laurea non determinò per lei una sua collocazione definitiva nella comunità scientifica internazionale. Il suo primo lavoro, infatti, non aveva niente a che fare con la ricerca in astronomia. Cominciò con un breve periodo di insegnamento all’Istituto di Ottica, e poi si trasferì a Milano per lavorare alla Ducati: il suo compito era scrivere le istruzioni per una nuovissima macchina fotografica, la Sogno, allora molto all’avanguardia.
Intanto studiava per il concorso per diventare astronomo, che però andò male perché Margherita non seppe rispondere alla domanda “Perché la Luna ci rivolge sempre la stessa faccia?”. Non ci aveva mai pensato e così fallì la prova. Ritornata a Firenze, riprese le lezioni all’Istituto di Ottica e all’Osservatorio Astronomico di Arcetri. Era “precaria” come si direbbe oggi e guadagnava ventimila lire al mese.
Divenne finalmente assistente di Fracastoro che a sua volta era diventato professore. Cominciò la sua prima ricerca autonoma sulla stella Zeta Tauri, molto calda e con un comportamento strano che meritava un approfondimento. In breve ottenne dei risultati interessanti e si convinse così di essere una vera scienziata.
La libertà con cui Margherita ha potuto seguire la sua carriera scientifica è dovuta anche allo straordinario rapporto con il suo compagno, Aldo. Lui, letterato con una cultura ampia e multiforme, ha sempre coltivato i propri interessi privatamente, senza una professione che lo legasse a un lavoro fisso. Ha così potuto seguire Margherita nelle sue pellegrinazioni in giro per il mondo. Nei primi tempi hanno vissuto a Parigi, dove Margherita aveva una collaborazione con l’Institut d’Astrophysique che negli anni Cinquanta era uno dei migliori del mondo. Poi andarono a Merate, succursale dello storico Osservatorio Astronomico di Brera, in Olanda a Utrecht, e infine a Berkeley in California. Nel 1959 ritornarono stabilmente in Italia, prima a Merano e poi Trieste dove Margherita divenne direttore dell’Osservatorio nel 1963. In quel periodo cominciò anche a occuparsi di organizzazione della ricerca ed entrò in vari organismi e comitati nazionali che servirono a dare una sistemazione moderna alla scienza nazionale.
L’Osservatorio di Trieste all’inizio degli anni Sessanta era il peggiore d’Italia. Sotto la direzione di Margherita cominciò ad attrarre giovani da tutto il mondo e in pochi anni si trasformò in una moderna struttura di ricerca guadagnando rispetto a livello internazionale. Nel 1967 cominciò anche la costruzione della nuova sede con strumentazione adeguata sul Carso triestino, dove il cielo è limpido e le luci della città non arrivano a disturbare le osservazioni. Il suo compito fu facilitato dal fatto che a Trieste, su impulso del fisico Paolo Budinich, si stavano realizzando una serie d i istituzioni scientifiche internazionali che avrebbero portato un flusso di persone e di idee da tutto il mondo e avrebbero trasformato Trieste in una vera e propria “città della scienza”.
Nei suoi anni di direttore, Margherita ha lottato per non farsi divorare dalla burocrazia, per ritagliarsi il tempo per continuare a fare ricerca. Nel periodo immediatamente successivo al movimento studentesco del ’68, sperò che una ventata di democrazia vera potesse entrare nel mondo accademico e rinnovarlo. Nel 1984, quando lasciò la direzione, all’Osservatorio di Trieste lavoravano più di ottanta persone e si conducevano ricerche tra le più avanzate, attraverso una rete di collaborazioni che coinvolgevano scienziati da tutto il mondo. Sono stati vent’anni di scoperte fondamentali per l’astrofisica e Margherita è soddisfatta di avere dato il suo contributo a tutto ciò. Man mano che il suo ruolo come scienziata attiva diminuiva, sono cresciuti i suoi impegni politici, civili, nella divulgazione. Dal 1997, quando è andata in pensione a 75 anni, non ha più un minuto libero! È ancora una persona attiva e impegnata: “Novant’anni, — dice — sembra ieri e sembra mille anni fa!”. Ci ha lasciato il 29 giugno del 2013.[divider_padding]fonte: http://www.enciclopediadelledonne.it/index.php?azione=pagina&id=330

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Case o Prigioni?

Libretto informativo: Case o Prigioni? storie e numeri di omicidi in famiglia in Lombardia orientale 2005-2012.

L’O.N.V.D. (Osservatorio Nazionale Violenza Domestica) non è solo una sigla che studia, analizza e scrive, ma è una struttura dai mille occhi, dalle tante sensibilità, dalle diverse competenze. In ciò esso è certamente sollecitato, anche, dall’interesse che via via è cresciuto verso il fenomeno della violenza in ambito familiare, dalla drammaticità delle sue dimensioni e al tempo stesso dalla carenza di informazioni complessive e compiute.

Eppure, singoli studiosi, equipe di esperti, strutture scientifiche (e l’ONVD fra questi) hanno prodotto in particolare negli ultimi decenni una vera e propria letteratura, analisi e azioni che hanno certamente fornito canoni di lettura, metodiche euristiche anche innovative, un aumento insomma di conoscenza del fenomeno che tuttavia permane, resta ancora indefinito, indeterminato, persino oscuro in molte sue parti. Viviamo una realtà culturale e sociale in mutamento sempre più rapido dentro la quale si situa il fenomeno connotato da forti ambivalenze che spingono più verso l’immersione e l’occultamento che non verso l’emersione e il disvelamento.

E ciò vale per i soggetti interessati e coinvolti tanto quanto per la società entro la quale si collocano, agiscono e vengono immaginati. La società costruisce se stessa confondendo ciò che è e ciò che le pare naturale che sia o, infine, ciò che le interessa. Lo studioso deve liberarsi di questo schermo, liberare i fenomeni sociali dalle immaginazioni collettive.

Questo non va attribuito esclusivamente all’oggi.
Anche quello della violenza in famiglia -di certo pur sotto altre forme e con altre connotazioni- esiste con l’esistere dell’uomo, forse parte costitutiva dell’aspetto dolente dell’umanità.
Anche quando questa violenza emerge negli aspetti più evidenti e più estremi della violenza (uccisione del partner, del figlio, del genitore etc.) resta una difficoltà a fondarne una lettura critica, a interpretare distintamente il fenomeno in presenza di una limitatezza delle nostre conoscenze complessive e di un sistema di analisi compiuto.

Permane anche per questi casi estremi ed evidenti in sé, una resistenza istituzionale ad assumere dimensione e valenza sociale. Insomma, evidenti ma istituzionalmente silenti, fatto salvo l’ovvio ma insignificante clamore mediatico.
Eppure tutti gli aspetti richiedono e richiamano studio, anche perché sono fenomeni storici, evolutivi: sono un aspetto del modo di essere della nostra società.

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