21 Set 2013

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Se comunicazione fa rima con discriminazione

Al Convegno su “Se comunicazione fa rima con discriminazione” Lorella Zanardo illustra il suo metodo di analisi delle pubblicità e delle trasmissioni sessiste. Un metodo con cui, nelle scuole, stimola negli studenti una visione capace di consapevolezza critica. E introduce il suo discorso mostrando come il lavoro delle associazioni e dei singoli che da anni si battono su questi temi (da lei stessa, con il Corpo delle Donne, a DonneinQuota, Udi e altre) sia stato raccolto e soprattutto rilanciato in modo autonomo da un grande numero di attivisti/e e blogger, in prevalenza donne, ma che contano anche numerose voci maschili.

Chi sono? Voci che salgono da basso, in maggioranza “anonime” – o meglio “anonimamente generose”. Infatti non diffondono la loro visione critica per professione o in cambio di alcun tornaconto, ma per la certezza che questo esercizio di espressione sia giusto, necessario e utile a tutte/i. Se gli enti pubblicitari e le istituzioni decidono di collaborare, si crea il quadro vincente, che lei ritiene sia ormai a buon punto in Italia. E, attraverso alcuni case histories, mostra quanto questo metodo condiviso sia efficace e dunque da incentivare per il futuro.

Il convegno “Verso una comunicazione responsabile: criticità e prospettive. Quando comunicazione fa rima con discriminazione, un confronto tra Comuni e mondo della comunicazione” ha avuto luogo per iniziativa del Comune di Milano, il 17 settembre 2013. L’intento era mettere a confronto le Amministrazioni locali e diversi attori coinvolti nel mondo della comunicazione affinché definiscano e valutino insieme gli strumenti più adeguati a rendere efficaci azioni migliorative da parte delle Amministrazioni comunali.

Il video:

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“LE DONNE VENDONO, VENDI LE DONNE” è il primo film di montaggio del collettivo Un Altro Genere di Comunicazione. In poco più di venti minuti, il tentativo è quello di raccontare lo sfruttamento dei corpi femminili e la loro oggettivizzazione in nome di mercato, profitti, audience.
Programmi di intrattenimento, spot pubblicitari, cartellonistica, carta stampata usano tutti gli stessi stereotipi come fossero rivolti evidentemente a un pubblico solo maschile ed eterosessuale.
Lo sguardo mediatico rende le donne oggetti di rappresentazioni alienanti, relegandole ad essere portatrici di carica erotica uniche responsabili della gestione di ambiti familiari e domestici, annientando tanto l’individualità che la collettività del genere femminile.
Spesso le critiche alle rappresentazioni mediatiche vengono poste in maniera sovrastrutturale, mirando solo ad evidenziare lo svilimento del corpo delle donne, l’uso massiccio che se ne fa, senza però sottolineare quale sia la struttura da decostruire, cioè il mercato economico che fa del corpo femminile un feticcio per vendere e riducendo esso stesso a merce.

Il video:

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13 Set 2013

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Due iniziative a Collebeato

Il 21 settembre e il 5 ottobre ci saranno due belle iniziative a Collebeato, il cui ricavato sarà parzialmente devoluto alla nostra Associazione Casa Delle Donne CaD-Brescia.

Il 21 settembre sarà organizzato uno “Spiedo e Polenta”, mentre il 5 ottobre ci sarà uno spettacolo teatrale “Franca Rame Projet” a cura di Dale Zaccaria. Per maggiori informazioni accedere al seguente link: franca rame project

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11 Set 2013

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Comunicato D.i.Re

Le considerazioni di D.i.Re sul decreto legge femminidicio nelle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera dei Deputati.

Ieri mattina, D.i.Re è stata ascoltata dalle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia della Camera dei Deputati, in merito alla indagine conoscitiva per la conversione in disegno di legge, del decreto legge sul femminicidio.

D.i.Re ha evidenziato come nel decreto legge manchi qualunque riferimento al riconoscimento del ruolo che i centri antiviolenza svolgono da anni in Italia grazie ad interventi e a progetti di contrasto alla violenza contro le donne, tantomeno viene fatto riferimento a politiche di sostegno dei centri antiviolenza. Non condividiamo inoltre il riferimento ad un Piano nazionale straordinario di contrasto della violenza contro le donne: gli interventi nei confronti del fenomeno non debbono rispondere a misure eccezionali perché la violenza contro le donne non è un fenomeno straordinario ma culturale che ha sempre avuto ampia diffusione.

 Il decreto legge persegue una politica di intervento emergenziale del problema, non risponde alle richieste della Convenzione di Istanbul recentemente ratificata dal Parlamento, di svolgere un intervento sistemico e di realizzare delle politiche globali ed integrate per affrontare il problema della violenza maschile.

 Pertanto al Governo e al Parlamento si chiede il rinnovo ed il miglioramento del Piano Nazionale esistente, e di attuare pienamente la Convenzione di Istanbul, riconoscendo in modo inequivocabile il valore storico-culturale e professionale dei Centri antiviolenza appartenenti a D.i.Re e il loro coinvolgimento in tutti i tavoli tecnici che si occupano di violenza, e lo stanziamento di specifici e adeguati fondi definiti nella legge di stabilità.

D.i.Re Donne in Rete contro la violenza
Casa Internazionale delle Donne – Via della Lungara, 19 – 00165 Roma, Italia
Cell 3927200580 – Tel 06 68892502 – Fax 06 3244992 – Email direcontrolaviolenza@women.it
www.direcontrolaviolenza.it

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11 Set 2013

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Necrologio

Con la tua morte Marilia piangiamo quella di tutte le donne vittime di chi aveva detto di amarle. [divider_padding]]]>

30 Ago 2013

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D.i.Re: Decreto violenza, lontani da Convenzione di Istanbul

Comunicato dell’Associazione D.i.Re: Donne in Rete contro la violenza, sul dl contro il femminicidio.

Benché il capo 1 del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013 contenga alcune utili disposizioni e modifiche al codice penale e di procedura penale, che per anni abbiamo chiesto anche a livello internazionale, lo riteniamo insoddisfacente e ne respingiamo i presupposti.
Le misure previste sono inadeguate a contrastare la violenza maschile contro le donne e sono ben lontane dal dare attuazione alla Convenzione di Istanbul. Ancora una volta la violenza maschile contro le donne viene considerata un problema preminentemente di ordine pubblico e non culturale e sociale qual è;
Ancora una volta la violenza contro le donne viene affrontata in modo frammentario e settoriale distinguendo gli interventi sulle varie forme di violenza contro le donne (femminicidio, violenza sessuale, violenza di genere, stalking) e dimenticando che si tratta di un unico fenomeno e tanti sono i disegni di legge in attesa di essere discussi;
Ancora una volta si producono nuove leggi, quando il problema italiano non è la carenza di strumenti giuridici ma la loro applicazione, assolutamente insufficiente e disomogenea sul territorio nazionale;
Ancora una volta si propongono interventi non strutturali, senza prevederne una adeguata copertura finanziaria, a cominciare dal “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere” – previsto nel capo 1 del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013 – che si vorrebbe realizzare “a costo zero”;
Ancora una volta la donna vittima di violenza viene considerata un “oggetto” debole e da tutelare, limitandone la libertà e la volontà. L’irrevocabilità della querela, introdotta verosimilmente con l’intento di proteggere la donna da eventuali pressioni, minacce o ritorsioni è una responsabilità che lo Stato non è in grado di assumersi non esistendo attualmente un serio programma di protezione della vittima che ne tuteli l’incolumità, dalla denuncia in poi, né un serio programma di interventi di prevenzione e contrasto alla violenza. Si rende irrevocabile la querela, ignorando che tante donne sono state uccise dopo che avevano ripetutamente e inutilmente denunciato e che in Italia come all’estero, a fronte di un aumento delle denunce, aumentano le archiviazioni, così come si riducono i processi che si concludono con una condanna del maltrattante. Ancora una volta le associazioni che da anni lottano contro il fenomeno della violenza maschile contro le donne e che rappresentano per queste una risorsa indispensabile, non sono state coinvolte nella discussione ed elaborazione del decreto sul femminicidio. Ricordiamo che la violenza maschile contro le donne non è un’emergenza, ma un problema che non può più essere rimandato. Chiediamo che questo governo affronti in modo organico e strutturale il tema, nominando un soggetto istituzionale che coordini gli interventi sulla violenza. L’attuale Piano nazionale – già da D.i.Re criticato perché totalmente inadeguato rispetto agli standard europei, in quanto inefficace nel raggiungere gli obiettivi previsti e insufficientemente finanziato – è in scadenza (novembre 2013). Riteniamo il suo rinnovo una opportunità da non perdere: il prossimo Piano dovrà essere necessariamente intercompartimentale e interdisciplinare, con una attenzione specifica a misure concrete di sostegno ai Centri Antiviolenza, senza i quali qualsiasi intervento rappresenterebbe una mera, frammentaria e demagogica enunciazione di principi. Ci aspettiamo inoltre misure che assicurino un adeguamento di tutti i servizi per donne vittime di violenza ai criteri di qualità richiesti già nel 1999 dal Consiglio d’Europa. Il NUOVO Piano nazionale dovrà prevedere il confronto tra tutti gli attori necessari chiediamo che D.i.Re, donne in rete contro la violenza, l’Associazione nazionale che rappresenta i Centri antiviolenza su tutto il territorio italiano, sia considerata una stabile, qualificata e autorevole interlocutrice proprio per il lungo percorso di oltre 20 anni di lavoro di tutte le associazioni aderenti a fianco delle donne che hanno subito violenza.[divider_padding padding=”26″] Articolo tratto da Globalist.it 

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25 Ago 2013

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Jackson Katz: La violenza sulle donne è una questione maschile

Questione femminile ci riferiamo spesso alla violenza domestica e agli abusi sessuali. Ma Jackson Katz, in questo audace e schietto discorso, sostiene che in fondo si tratta di problemi maschili – dimostrando come questi comportamenti violenti siano legati alla definizione di virilità. Un richiamo forte e chiaro per tutti noi – donne e uomini – a denunciare questi atteggiamenti inaccettabili e a essere i leader del cambiamento.

Fonte articolo: Ted.com

24 Ago 2013

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Dina Goldstein: Fallen Princess, In The Dollhouse

Dina Goldstein, fotografa concettuale, è conosciuta e apprezzata a livello internazionale grazie a due suoi progetti, caratterizzati da ironia e dissacrazione delle più famose icone stereotipate per bambini: Barbie e le Principesse delle favole.

Con “Fallen Princess“, progetto realizzato nel 2007, ha rappresentato in chiave ironica le protagoniste delle fiabe, mostrando cosa probabilmente accadrebbe loro nella vita reale, senza la patina fiabesca e romantica che le ha sempre caratterizzate.
Ed è così che scopriamo Biancaneve, moglie trascurata da un marito nullafacente e madre a tempo pieno, oppure la Sirenetta esposta in un acquario, Pocahontas rinchiusa in casa con i suoi innumerevoli gatti, ma anche Jasmine e Raperonzolo, obbligate a lottare per la loro stessa vita, la prima in guerra, la seconda contro un grave problema di salute.

Col secondo progetto realizzato nel 2012 “In The Dollhouse“, l’attenzione è incentrata sulla coppia più famosa e ammirata dalle bambine (ma non solo): Barbie e Ken.
In questi scatti viene mostrata la loro vita apparentemente perfetta, che cela in realtà solitudine, insoddisfazione e tristezza, per via dei ruoli/canoni imposti comunemente ad entrambi i personaggi: moglie e donna perfetta, marito e uomo perfetto. Situazione che allo scatto finale porterà ad un tragico epilogo.

Intervista alla fotografa:

Cosa ha ispirato questo lavoro?
Sono state le mie figlie a ispirare entrambi i lavori. Ho cominciato a pensare a Fallen Princess quando mia figlia Jordan aveva 3 anni e contemporaneamente a mia madre era stato diagnosticato un tumore al seno. Jordan era nella fase “principessa” e noi leggevamo, guardavamo ed eravamo sopraffatte dalle principesse di Walt Disney. Ho cominciato a immaginare ciascuna di loro come un’adulta con i suoi problemiCome sarebbe stato se fossero state donne reali che vivono le sfide del mondo e si confrontano con i temi contemporanei?
In the Dollhouse è la continuazione del mio studio dei giochi di massa e delle icone femminili. Mia figlia Zoe è saltata direttamente alle Barbie seguendo sua sorella più grande, che con le bambole mette in scena personaggi e storie. Nonostante il mio lavoro esamini come le menti più giovani, soprattutto femminili, siano influenzate da queste figure culturali, in realtà il mio è un progetto creato per gli adulti e non per i bambini. Credi nella coppia perfetta?
Assolutamente no! E lo dico perché la perfezione non esiste! La perfezione è un’illusione. Sto con mio marito da vent’anni e parlo quindi per esperienza diretta. Un buon matrimonio richiede lavoro. Si tratta di due individui che vivono insieme e respirano sempre la stessa aria. Si parla di compromesso e compassione. E tolleranza… Molta tolleranza. Jonas, mio marito, ha una lista di cose su cui vuole che io lavori. E io ho la mia lista per lui! Ora come ora abbiamo dei bimbi piccoli e quindi la nostra priorità è la sopravvivenza! Consigli per essere una donna autentica?
Oggi il mio consiglio per le giovani donne è di concentrarsi su ciò che ami e provare a farne il tuo lavoro. Focalizzati sulle tue qualità migliori e sii realista sui tuoi talenti. L’etica del lavoro è importante. Sii disposta a sperimentare ogni specie di lavoro, più o meno importante che sia. E sii paziente, perché ci vorrà un po’ prima che tu ne possa trarre beneficio. Credo che con la formazione e la determinazione ciascuno di noi possa diventare ciò che desidera.

Intervista rilasciata a Cosmopolitan.it.

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Intervista a Piera Stretti: storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto

Alla Casa delle donne di via San Faustino Piera Stretti, presidente della Onlus, racconta le storie quotidiane fatte di ascolto e di bisogno di aiuto. 
L’associazione bresciana nata nel 1989 accoglie giovani donne perseguitate da ex mariti o compagni «Lo stalking esisteva prima che ci fosse la legge» La «Casa delle Donne» si trova in via San Faustino, al civico 38. Un grande e un po’ decadente appartamento con i soffitti affrescati ospita gli uffici dell’associazione creata nel 1989 e trasferitasi in questo immobile poco dopo la sua nascita. Il proprietario dei muri è il Comune di Brescia, cui la Onlus paga un affitto a canone agevolato, rinnovabile ogni quattro anni. Un videocitofono consente di scrutare il visitatore e stabilire se è il benvenuto. Una misura banale ma tranquillizzante, dettata da ragioni minime di sicurezza, nonché un piccolo baluardo a difesa della riservatezza di chi varca la soglia di queste stanze, tutte donne che subiscono maltrattamenti e molestie, alla ricerca, spesso disperata, di aiuto e conforto. Tra loro una consistente percentuale, 33 su 355 nel 2012, già 30 su 240 nei primi sette mesi di quest’anno, è rappresentata dalle vittime di stalking. A Piera Stretti, presidente della Onlus, non è sfuggita la storia drammatica che «Laura» ha affidato alle colonne di Bresciaoggi e neppure gli interventi che ne sono scaturiti nei giorni seguenti. Il suo contributo al dibattito porta elementi di riflessione che derivano da una lunga esperienza e dalla frequentazione quotidiana con questo genere di problematiche. «LO STALKING esisteva già prima del 2009, anno di promulgazione della legge 38 che ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis», premette Piera Stretti. Esisteva un vuoto legislativo e se n’è preso atto. La norma, da quattro anni, codifica i comportamenti persecutori che configurano il reato e stabilisce le pene per chi lo commette. IL DISEGNO DI LEGGE che è stato approvato giovedì dal Consiglio dei ministri (e immediatamente attuativo), contempla misure volte a dare un inequivocabile segnale di lotta al fenomeno del femminicidio e di contrasto generale alla violenza di genere. Si può affermare che si tratta di un passaggio importante? «Pur comprendendo l’intento del legislatore, mi lascia perplessa l’articolo che prevede l’irrevocabilità della querela perché temo che, alla prova dei fatti, l’impossibilità di ritirarla possa costituire un deterrente, un impedimento ad assumere una decisione fortemente traumatica sapendo che è definitiva, scevra da ripensamenti». Il giudizio sull’estensione delle ipotesi che prevedono l’arresto in flagranza di reato è positivo: «Ben venga, così come l’ampliamento del raggio d’azione delle situazioni aggravanti». Viene anche stabilito che i reati di stalking siano inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito, «una decisione la cui importanza sarebbe sbagliato sottovalutare». «LA VIOLENZA contro la donna, nelle varie forme in cui può esprimersi, è millenaria», per debellarla è giocoforza attrezzarsi con strumenti repressivi e al Governo va dato atto di non avere tergiversato, fermo restando che l’arma più efficace si chiama prevenzione. «Bisogna lavorare avendo come obiettivo un cambiamento culturale, la rimozione di un retaggio antropologico che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che non smette di condizionare, in negativo e trasversalmente, anche società evolute e moderne». Sono le nuove generazioni il terreno su cui occorre seminare, «gli sforzi devono trovare nella scuola il loro alveo naturale», va scardinata la resistenza ancestrale che porta a «non accettare che il sesso femminile goda di piena autonomia e libertà». Nel frattempo, prima che le scorie formatesi attraverso i secoli siano eliminate, la lotta è combattuta sul campo, il fenomeno è da affrontare e circoscrivere adesso, le invocazioni d’aiuto devono trovare risposte immediate. «La Casa delle Donne non è strumento di pronto intervento», dice Piera Stretti sgomberando il campo da possibili equivoci, «se constatiamo che esiste un pericolo reale, tangibile e immediato per l’incolumità del soggetto, non possiamo fare molto se non fornire il consiglio di rivolgersi alle forze dell’ordine». IL LAVORO SVOLTO dalle volontarie mira all’uscita programmata dalla situazione in cui versa la vittima. La prima fase consiste nell’ascolto telefonico, seguita dall’accoglienza, cioè da colloqui in cui sono valutati i diversi interventi possibili e i percorsi da intraprendere. Legali e psicologhe, consulenti dell’associazione, offrono sostegno e competenza, requisito indispensabile per affrontare, con possibilità di successo, situazioni spesso delicatissime. «La prima richiesta che riceviamo, la più pressante, è quella di essere credute», un’esigenza che racconta la difficoltà che l’oggetto delle minacce reiterate incontra nell’essere considerato attendibile dagli interlocutori cui affida le sue dolorose confidenze. Le donne che giungono in via San Faustino «vorrebbero soluzioni immediate e radicali», un’aspettativa quasi sempre disattesa, il corso della giustizia ha scadenze che non possono essere scavalcate, se non in casi particolari. Come giustificare quelle che all’opinione pubblica sembrano lungaggini inspiegabili, incapacità di cogliere la gravità di una situazione, sordità verso campanelli d’allarme che suonano forte e più di una volta? La risposta arriva, pacata come altrimenti non potrebbe essere, perché data da una professionista navigata che ha dedicato un’intera vita alla battaglia contro la violenza di genere. «I casi sono tantissimi e tutti diversi tra di loro – è la premessa del ragionamento – molte delle donne riferiscono di minacce di morte, non è semplice stabilire se e come hanno possibilità di concretizzarsi». POLIZIA E CARABINIERI dovrebbero avere a disposizione mezzi più efficaci, capaci di ridurre la possibilità di un errore irrimediabile. «Uno di questi è già stato testato brillantemente», è un metodo predittivo e si chiama Sara, acronimo in lingua inglese che tradotto significa freddamente «valutazione del rischio nella violenza da partner», uno strumento particolarmente indicato per le decisioni giudiziarie e probatorie. «Vengono ponderati i comportamenti violenti e si stabilisce la probabilità che si ripresentino nuovamente, decidendo in che modo prevenirli sulla base della gravità emersa». I recenti fatti di cronaca, pur nelle loro straordinaria drammaticità, non devono far dimenticare un dato appurato, ovvero che «lo stalker raramente si trasforma in un femminicida», affermazione solo apparentemente in contraddizione con la successiva: «La maggioranza delle vittime assassinate aveva denunciato di aver ricevuto minacce». E’ raro dunque che il persecutore diventi carnefice, ma quasi sempre la donna è uccisa proprio da chi aveva indicato essere il suo aguzzino. La curiosità porta a chiedere se davvero si manifestano situazioni in cui i ruoli maschio-femmina sono ribaltati. «E’ così nel 15 per cento dei casi – spiega la presidente della Casa delle Donne – ma si tratta sempre di molestie attraverso telefono o posta elettronica, qualche volta si traducono in danneggiamenti all’automobile del malcapitato o ad altri beni di sua proprietà, mai tuttavia si è arrivati a mettere in discussione l’incolumità fisica». Si sono verificate, molto sporadicamente, anche situazioni configurabili come stalking reciproco, un crescendo continuo di dispetti e di torti in cui le parti ricoprono contemporaneamente i due ruoli scritti in copione. TRA LE TANTISSIME idee, tradotte in iniziative, Stretti mostra l’Agenda Viola, parte del progetto «Ascoltare la paura, salvare la vita». E’ stata pensata appositamente per essere usata nei casi di stalking, per segnare quotidianamente fatti significativi e il proprio stato d’animo: in questo modo la vittima potrà valutare e monitorare meglio la situazione, e le sarà più facile esporre la sua storia alle forze dell’ordine o alle operatrici dei centri antiviolenza. Ma c’è un consiglio da dare quando nascono i primi sospetti, quando un gesto, un atto o una parola lasciano intravedere la possibilità di un escalation pericolosa, come ci si deve comportare per disinnescare la «strategia del ragno»? Un «no» pronunciato forte e chiaro, deciso e senza tentennamenti è la mossa migliore. Può sembrare ovvio e scontato, ma «troppo spesso non accade, nel timore di avere male interpretato, per una forma di timidezza o per mancanza di coraggio», rivela Stretti. Farlo subito può essere l’antidoto più efficace, la barriera per il molestatore. L’INCONTRO con Piera è giunto al termine, per tutta la sua durata, un’ora circa, non si è mai interrotto l’andirivieni delle persone che prestano la loro opera, il telefono ha squillato più volte, in una sala attigua, ma nascosta agli occhi del visitatore, era in corso un colloquio, presumibilmente difficile. Per tante, troppe donne, non è tempo di vacanza, neppure in agosto.[divider_padding]

Articolo di Mauro Zappa, pubblicato su BresciaOggi.it 

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08 Ago 2013

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Decreto Legge del 08/08/2013

Decreto “sicurezza”:

Il provvedimento, che si compone di 13 articoli suddivisi in quattro Capi, reca misure che si muovono lungo le seguenti direttrici:

1)Prevenzione e contrasto della violenza di genere

Sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza contro le donne e in ambito domestico di Istanbul, recentemente ratificata dal Parlamento, il decreto mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking).

Vengono quindi inasprite le pene quando:

  • il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto;
  • il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza;
  • il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner.

Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking:

 

  • viene ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti che vengono estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici;
  • viene prevista – analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale – l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, che viene, inoltre, incluso tra quelli ad arresto obbligatorio.

 

Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia:

  • viene assicurata una costante informazione alle parti offese in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali;
  • viene estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità;
  • viene esteso ai delitti di maltrattamenti contro famigliari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza;
  • si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il Pubblico Ministero – su informazione della polizia giudiziaria – può richiedere al Giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.

 

Infine, è stabilito che i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito. Ciò al fine di dare, su questo punto, compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul, recentemente ratificata, che impegna gli Stati firmatari a garantire alle vittime della violenza domestica il diritto all’assistenza legale gratuita.
Sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari come già previsto dall’articolo 18 del TU per le vittime di tratta); Infine, a completare il pacchetto, si è provveduto a varare un nuovo piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere che prevede azioni di intervento multidisciplinari, a carattere trasversale, per prevenire il fenomeno, potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza, formare gli operatori;

2) Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica 3) Norme in tema di Protezione Civile 4) Norme in tema di gestioni commissariali delle Province [divider_padding]Provvedimento completo: http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=72539 ]]>

02 Ago 2013

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Stalking, «scandalo no a custodia cautelare»

«E’ scandaloso pensare che quelle donne vittime di stalkers saranno letteralmente in balia dei loro persecutori e questo vale anche per quel 5% di donne che perseguitano i loro ex», ha sottolineato in una nota la Consigliera di parità bresciana. «Ma perché iniziare proprio dalla depenalizzazione del reato di stalking per avviare una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri in Italia? Sicuramente tale problema va affrontato con urgenza, ma in questo periodo nel quale la società è testimone di quanto sia grande il problema che riguarda la violenza di genere, solo perché si è donne ex mogli, ex compagne, aggravato da una violenza trasversale anche sui minori, non si può, anzi non si deve neppur minimamente pensare a depenalizzare il reato di stalking, anzi dovrebbero essere inasprire le pene e le forme di rieducazione di questi uomini presi dal senso del possesso delle proprie compagne». «Proprio a Brescia- viene sottolineato- questo reato ha dati i risultati più tragici in assoluto, infatti la nostra Provincia detiene il record negativo per l’area Lombardia est rispetto a tali reati (come da indagine dell’Osservatorio sulla Violenza Domestica). I casi più eclatanti e drammatici si sono verificati nel quartiere di San Polo, Via Cremona e ultimo recentissimo la tragedia di Ono San Pietro, solo questi casi hanno visto dieci vittime decedute di cui 4 minorenni uccisi dalla furia omicida dei padri e 3 minorenni sopravvissuti ma comunque testimoni della tragedia. Va ricordato quanto queste donne abbiano prontamente denunciato i loro compagni sia nel caso di Ono San Pietro che di San Polo eppure sono cadute sotto i colpi dei loro ex-compagni». «A Brescia – ha concluso Anna Maria Gandolfi- 293 sono stati i casi denunciati nel 2012, ma sappiamo essere solo la punta dell’ iceberg. Le donne che non denunciano sono ancora troppe e sicuramente di più di quelle che denunciano, senza contare che in questi numeri non rientrano le violenze subite dalle donne sui luoghi di lavoro sotto altre forme come il mobbing, le discriminazioni di trattamento o peggio le violenze psicologiche».

Articolo apparto su QuiBrescia.it

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