Quando si parla di violenza, spesso tendiamo immediatamente a pensare a percosse e ad aggressioni fisiche. La violenza, in realtà, può avere molte altre forme e può essere agita a diversi livelli: possiamo infatti fare riferimento a violenza economica, culturale, psicologica, ecc.
Tutti questi tipi di violenza sono tra loro collegati, ma non necessariamente coesistono.
In particolare, non esiste violenza fisica che non sia stata preceduta da forme di violenza psicologica. Quest’ultima spesso viene sottovalutata, in quanto difficilmente identificabile, talvolta per le vittime stesse, che non la riconoscono come “violenza”. È invece fondamentale riconoscerne la portata, non solo in quanto precursore di altri tipi di violenza tra cui quella fisica, ma anche perché di per sé causa di sofferenza e disagio in chi la subisce.

Con il termine “violenza psicologica” ci riferiamo ad una serie di atteggiamenti e discorsi volti direttamente a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere. Rientrano in questa definizione tutte quelle parole e quei gesti che hanno lo scopo di rendere l’altro insicuro, così da poterlo controllare e sottomettere.

«Mio marito non mi ha mai picchiato; ero convinta di non aver mai conosciuto la violenza di coppia, poi invece mi sono resa conto che semplicemente non era necessario che mi picchiasse perché seguissi ogni suo volere. Pensavo di non essere in grado di scegliere e di fare da sola. Le botte sono arrivate con i miei primi “no”.»

La violenza psicologica si articola intorno a particolari comportamenti e/o atteggiamenti che si ripetono e si rafforzano nel tempo; una serie di microviolenze che generalmente seguono il seguente schema: tutto inizia con il controllo sistematico dell’altro, si passa poi alla gelosia e alle molestie assillanti, fino ad arrivare alle umiliazioni ed al disprezzo.

Il controllo può tradursi in un comportamento eccessivamente geloso, quasi patologico, caratterizzato da sospetti continui ed infondati. Il partner diventa un oggetto da possedere in maniera esclusiva, non viene riconosciuto in quanto persona “altra da sé”.
Spesso, nell’ambito della violenza domestica, il controllo sulla donna è mantenuto grazie anche al suo progressivo isolamento: le viene impedito di lavorare (o di accedere alle finanze personali/comuni) e di avere una vita sociale, di vedere gli amici, di mantenere rapporti con quest’ultimi e con la famiglia, allo scopo di renderla completamente dipendente dal compagno, così che non sfugga al suo controllo.
L’isolamento è al contempo causa e conseguenza dei maltrattamenti; in queste situazioni le donne dicono spesso di sentirsi prigioniere.

Una strategia alla base della violenza psicologica è costituita dalle critiche avvilenti volte a minare l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore; per esempio la persona può essere denigrata per quello che fa, può essere accusata di pazzia, criticata rispetto al suo aspetto fisico o alle sue capacità intellettuali. Umiliare, svilire, ridicolizzare, costituiscono atti peculiari della violenza psicologica. Talvolta, quando le critiche e le umiliazioni sono a contenuto sessuale, queste generano un senso di vergogna che diventa un ulteriore ostacolo al cercare un aiuto esterno.

La violenza psicologica può includere anche minacce o atti intimidatori quali lo sbattere le porte, lanciare o rompere gli oggetti, maltrattare animali domestici, ecc. Queste non vanno considerate forme di violenza repressa, bensì azioni di violenza indiretta. Tali comportamenti vogliono intimorire l’altro, minacciarlo della propria forza e capacità di fare del male (agli altri e a se stessi). La minaccia di suicidio costituisce una violenza di estrema gravità perché porta il partner a sentirsi responsabile delle azioni dell’altro e a dover restare immobile per il timore delle conseguenze di qualsiasi sua scelta.

Se alcuni di questi comportamenti, presi singolarmente, possono rientrare nel quadro di un acceso litigio di coppia, è il carattere ripetitivo e il protrarsi nel tempo di queste situazioni a configurarli come una forma di violenza psicologica. La violenza, inoltre, si differenzia dalla conflittualità per l’asimmetria dello schema relazionale.

La sistematica denigrazione ed i continui insulti alla persona, maschio o femmina che sia, minano la sua autostima, e più in generale al suo senso di identità. Sentendosi continuamente disprezzata, essa stessa comincerà a disprezzarsi ed a sentirsi non degna di essere amata e rispettata. La ripetitività e il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo, a livello psicologico, per la persona che subisce, che addirittura può condurre al suicidio.

Tuttavia, mentre gli effetti della violenza fisica sono immediatamente visibili e facilmente diagnosticabili, è molto più difficile valutare quelli provocati da una violenza di tipo psicologico.
Esiste inoltre una certa difficoltà ad individuare le violenze psicologiche stesse, dal momento che i loro confini non sono così definiti: una medesima azione può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui si inserisce ed a seconda della persona che la valuta.
La violenza psicologica spesso viene negata sia dall’aggressore che dai testimoni; non ci sono dati oggettivi che provano la realtà di ciò che la vittima subisce e questo fa sì che essa stessa dubiti di ciò che prova.

Tutto questo rende necessario iniziative di sensibilizzazione e formazione rispetto a questo tema così importante e sottovalutato, sia in un’ottica di intervento, che preventiva, allo scopo di ridurre il rischio di diventare vittime (o carnefici) all’interno di questi pericolosi meccanismi psicologici.
Infine è importante sottolineare che la problematica della violenza, in tutte le sue forme, non può essere confinata ad una dimensione individuale o di coppia, ma necessita di essere rinviata ad un sistema più ampio, quello delle relazioni sociali; l’obiettivo deve essere quello di un cambiamento a livello sociale e culturale, che favorisca un’evoluzione delle relazioni di genere, fondate sul riconoscimento della persona e sul rispetto dell’alterità.

«Qualunque cosa distrugga la libertà non è amore.
Deve trattarsi di altro, perché amore e libertà vanno a braccetto,
sono due ali dello stesso gabbiano».
– Osho –  


Dr.ssa Sara Sandrini
Psicologa
Socia del Centro Antiviolenza Casa Delle Donne CaD-Brescia


 

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